Giuseppe Tardio

Il brigante laureato nacque l’1 ottobre 1834, a Piaggine, in una famiglia contadina, da Paolo e Caterina Allegro di Rofrano.

Frequentò a Salerno il Real Liceo e poi a Napoli l’Università, dove si laureò in legge. Nel 1859, durante il regime borbonico, partecipò ad una manifestazione liberale, per cui fu arrestato. Presentò poi domanda come ispettore di polizia al Ministero della Polizia Generale dei Savoia, ma gli amici di Pasquale Rubano, ricco borghese di Piaggine, contro cui aveva sostenuto e vinto una causa a favore di un povero, Pasquale Chiano, lo fecero arrestare e rinchiudere nel carcere di Laurino, come reazionario (10 dicembre 1860).

Di lì, in data 25 dicembre evase e si rifugiò a Roma. Qui, egli divenne legittimista, propugnando il ritorno dei Borboni, la distribuzione delle terre ai contadini e dandosi alla lotta armata, non solo per vendicarsi, ma anche perché si era reso conto che la cacciata dei Borboni e la formazione del nuovo Stato Sabaudo, non avevano soddisfatto la fame di terra dei contadini, anzi questi erano stati ingannati dalle promesse di Garibaldi, in quanto ora gli aristocratici, insieme ai borghesi, erano i proprietari di quelle terre, dai cui usi civici i contadini erano stati estromessi.

Raccolta nello Stato Pontificio una banda di 32 uomini - ex soldati borbonici- si imbarcò il 18 settembre 1861, a Civitavecchia e il 21 settembre sbarcò a Punta Teresino ad Agropoli. Il 24 settembre giunse sul Cervati a Piaggine. Lì si trattenne fino a dicembre, poi si recò a Centola, dove prese il comando di una altra banda brigantesca, che lì si era costituita. Nel luglio 1862, diede il via ad un grande movimento insurrezionale a Pisciotta, Laurito, Camerota, Massicelle, Futani, Abatemarco, Forìa, Licusati, Celle di Bulgheria, Alfano e Caselle in Pittari.
La banda, al suo passaggio, distruggeva gli stemmi reali, le statue, le litografie che si riferivano al potere Sabaudo o a Garibaldi. Nei proclami alle popolazioni si firmava “Capitano comandante le truppe borboniche”. Invitava a schierarsi sotto il vessillo del “legittimo sovrano Francesco II contro il fazioso dispotismo del subalpino regime” che aveva ridotto“ la seconda Valle dell’Eden” (il Cilento) a “triste contrada di provincia” "Riducendo queste belle contrade a provincia”. Nel 1865 un comitato segreto borbonico, costituito a Salerno, tentò di unificare la banda di Tardio con quella di Gaetano Manzo, operante su Acerno, S. Cipriano Picentino e Giffoni Valle Piana, ma il progetto fallì. Furono arrestati i parenti dei briganti. La banda Tardio fu sgominata a Magliano, in uno scontro con la Guardia Nazionale ed i Carabinieri. Tardio, ferito, fuggì a Roma (1866), dove visse per un periodo, fino a che un ex compagno detto "Geraolaro", per riscuotere la metà della taglia (5.000 ducati), tradendolo, rivelò dove si nascondeva a Nicola Mazzei, che lo denunciò alla Polizia. Tardio, esibendo documenti falsi, ingannò i poliziotti. Furono arrestati allora “Geraolaro” e Mazzei. “Geraolaro”, a questo punto, ricordò una ferita da fuoco sulla coscia sinistra di Tardio: questa fu la prova decisiva. Fu allora arrestato (1870). 


Nel processo svoltosi a Salerno, fu condannato prima a morte, poi la pena fu commutata nel carcere a vita nell’isola di Favignana. Nel processo, presentò una sua memoria difensiva, dove leggiamo : “Io non sono colpevole di reati comuni poiché il mio stato, il mio carattere, la mia educazione, non potevano mai fare di me un volgare malfattore; io non mi mossi e non agii che con intendimenti e scopi meramente politici; talchè non si potrebbe chiamarmi responsabile di qualsivoglia reato comune che altri avesse per avventura perpetrato a mia insaputa contro la espressiva mia volontà e contro il chiarissimo ed unico scopo per cui la banda era stata da me radunata”.

Morì a Favignana il 13 giugno 1892, forse avvelenato da una donna, per motivi ignoti.

Il brigantaggio

 

 

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